Licenziato perché criticava pubblicamente sulla sua pagina personale di Facebook l'azienda per cui lavorava. È solo uno dei casi di utilizzo non corretto dei social media da parte dei dipendenti. Ma ne sono consapevoli? Se da una parte il nostro ordinamento sancisce l'obbligo di fedeltà all'azienda per cui si lavora (art. 2015 del codice civile), dall'altra la rappresentazione di noi stessi attraverso strumenti e piattaforme digitali è diventato così fluido da aver azzerato le barriere della privacy e reso normale condividere qualsiasi pensiero, spesso senza troppo pensare alle conseguenze. A fronte di questo cambiamento culturale in atto mancano in azienda regole di base specifiche che indirizzino le energie propositive e rendano esplicite le regole del gioco tra azienda e dipendente. Le cosiddette social media policies sono un pilastro fondamentale per poter evitare situazioni imbarazzanti, come la pubblicazione di un nuovo prodotto prima ancora che sia uscito dagli stabilimenti di produzione - celebre è il caso della Alfa Romeo Giulia - e costruire al contempo gli advocates del brand anche tra i dipendenti: in media questi contano 420 amici su Facebook, 400 contatti su Linkedin e 350 follower su Twitter. Un patrimonio su cui fare leva, contando che il 90% degli acquirenti ascolta pareri, consigli e suggerimenti di chi conosce.
Anche questa settimana sono venuti a trovarci Elisabetta Mina, partner fondatrice di MiLa Legal e Stefano Desiderio, legale d'impresa nel mondo assicurativo e tecnologico con cui abbiamo affrontato l'argomento nella scorsa puntata, confrontandoci sulle difficoltà e le opportunità che un approccio pensato e costruito in collaborazione con le Risorse Umane, il Legal e la Comunicazione è in grado di generare.
Questa ed altre tematiche della trasformazione digitale sono approfondite sul sito della Business School del Sole 24 Ore.